Ospitiamo le riflessioni del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia, Editorialista delle testate giornalistiche dell'Osservatorio Metropolitano di Milano
La responsabilità rappresenta un principio universale e al tempo stesso una forma e un modo d’essere dell’ordinamento giuridico, economico e sociale, nonché dello Stato, inteso come Stato-comunità. Oltre che una dimensione strettamente pubblicistica e superindividuale e che trascende l’individuo, la responsabilità presenta altresì una dimensione privatistica e afferente alla personalità e alla psiche di ciascun soggetto, nel senso grammaticale, etico e concettuale del termine. Ecco allora che la responsabilità si declina su molteplici piani: quello etico, quello politico, quello economico e quello giuridico, come meglio si dirà infra. Sul piano grammaticale, la responsabilità è la principale attribuzione del soggetto, inteso come entità capace di autodeterminarsi e di compiere scelte, come comprova la scomposizione letterale del termine in “capacità” (letteralmente: “abilità”) di fornire responsi, che siano adeguati, convincenti, concreti, efficaci ed effettivi. Ecco allora che, come il mondo materiale non avrebbe senso, perché altrimenti incontrollabile, senza le leggi della fisica, così l’ordinamento non sarebbe concepibile nella sua realtà ontologica se privo di regole e di correlative sanzioni. E infatti tutte le norme, ancorchè di carattere etico, sociale o psicologico, sono coperte da una sanzione. Proprio in tal senso ben si apprezza dunque la più profonda giustificazione causale della responsabilità, quale principio, regola e sanzione, nonché, ancor prima, quale significato a monte dell’agire umano e pilastro portante della civiltà. Non sarebbe infatti predicabile una scelta del soggetto senza che lo stesso sia tenuto a risponderne, poiché altrimenti verrebbe a perdere di significato il ruolo della psiche come fonte di responsabilità, della kantiana legge morale, che proprio a tale funzione assolve, ossia il ricordarci che i precetti giuridici e morali non sono solo entità a noi esterne, ma fanno parte della nostra natura, quali creature intrinsecamente responsabili perché portate al bene, perché “teste d’angelo”. Senza responsabilità verrebbe meno, altresì, l’equilibrio dei rapporti sociali, nonché la misura della relazione tra noi e il mondo esterno. Ecco perché l’azione irresponsabile viene punita con una sanzione: perché rompe il sistema, rompe il fascio obbligatorio che regola l’ordinamento, fascio obbligatorio che da alcuni autori processualcivilisti tedeschi verrà ben definito come “rapporto giuridico fondamentale”. Occorre allora scandagliare i vari piani concettuali su cui si declina il tema oggetto di indagine. In primo luogo il profilo etico, ove la responsabilità assurge, come accennato, a regola di funzionamento della società civile, al pari di come nella fisica ogni azione produce una reazione uguale e contraria. Il riferimento alle regole fisiche evoca il principio più generale del significato dei rapporti sociali, di come cioè si sia passati da uno stato di natura allo stato di civiltà, attraverso la stipula del contratto sociale, la cui prima regola si traduce nel brocardo latino “pacta servanda sunt”. Quale precetto etico, la responsabilità si traduce in norma conformativa dei comportamenti umani e quale sanzione in caso di violazioni, in ossequio alla nozione di giustizia distributiva, che presuppone a monte una scelta etica: scegliere, letteralmente, come “fare le parti” (infatti, il fato, in greco “moira” deriva da un verbo greco che proprio significa “fare le parti”). Tale ultimo addentellato concettuale si riconnette anche a una tematica teologica, ossia della responsabilità quale principale attributo di Dio, sebbene in un’altra declinazione rispetto a quella valevole per gli esseri umani. Mentre infatti le vite e le scelte dei mortali non seguono la necessità, essendovi dissociazione, nel mondo terreno, tra “volere” e “potere”, l’essenza di Dio sta proprio nella necessità, ben espressa dal dantesco “vuolsi colà ove si puote ciò che si vuole”. Se infatti Dio è Bene e Giustizia, le sue scelte saranno sempre responsabili e dunque la responsabilità viene a configurare il suo principale attributo, nell’accezione però di una responsabilità necessitata.
La responsabilità assume particolare pregnanza altresì con riferimento alla vita politica, che con il tema etico presenta indubbie inferenze, traducendosi la politica, nel significato greco del termine (“politeia”) quale cura dell’interesse pubblico a tutela e a beneficio della comunità di riferimento, a fronte dei cui elettori il politico è responsabilizzato quale garante, quale espressione della volontà del popolo, espressione, per dirla con la filosofia tedesca, dello spirito del popolo (Volkgheist), a fondamento e giustificazione della concezione di Stato non solo come Stato-apparato, ma, prima ancora e soprattutto, come Stato-comunità, ossia come comunità aggregata per la realizzazione di interessi generali e di comuni valori etici. Sul piano politico, allora, la responsabilità si traduce quale regola di gestione delle vite dei cittadini, in termini di scelte di politiche del lavoro, di politica criminale (ad esempio sulla conformazione della prescrizione dei reati, l’introduzione di nuovi delitti e contravvenzioni e la modifica del 2005 in tema di recidiva) e di politica processuale (la modifica della struttura del processo civile di cognizione, l’inserimento, nel processo di esecuzione, dell’ipotesi della vendita diretta, l’introduzione di nuovi riti speciali, come la sospensione del procedimento con messa alla prova, l’introduzione di requisiti di specificità maggiormente stringenti quanto ai motivi dell’appello penale ex art. 581 c.p.p.). Centrale è, ancora, la responsabilità nella politica economica, con particolare riferimento alle scelte di gestione del denaro pubblico, la cui cattiva scelta gestionale può comportare una forma di danno erariale, con conseguente intervento sanzionatorio degli organi di giustizia contabile. Sotto il profilo più strettamente economico, la regola di responsabilità rappresenta la norma di comportamento fondamentale su cui si è fondata tutta la normativa economico-contabile, sia a livello statutale che locale che a livello europeo (cfr. su tutte le normative intervenute, la l. n. 559/1993, che ha segnato la soppressione delle gestioni fuori bilancio nell’ambito delle amministrazioni dello Stato). A una primaria funzione responsabilizzante, in chiave di previsione e di delineamento delle linee strategiche tanto dell’azienda privata quanto dell’ente pubblico, assolve il bilancio, nonché, ex post, il rendiconto, unitamente, almeno con riferimento alla gestione economica degli enti locali, a una serie di documenti, tra cui il documento unico di programmazione (DUP), che rappresentano le linee guida ed operative dell’ente. Così, gli amministratori, nel momento in cui propongono l’inserimento di una voce di entrata o di spesa nel bilanci, e l’assemblea (con riferimento alle società di diritto privato) o il Consiglio (con riferimento a Stato, Regioni, Province e Comuni), assumono una grande responsabilità, quali garanti del buon andamento dei conti pubblici, unitamente ai sindaci e agli organi di revisione, nonché alla figura del segretario comunale, garante della legalità negli enti locali e di norma responsabile anticorruzione, ai sensi della l. 190/2012. Poichè è necessario rispondere all’interrogativo “quis custodet custodes?”, su tale quadro interviene il sistema dei controlli interni (art. 147 e ss. d.lgs. n. 267/2000) ed esterni (il controllo, principalmente, della Corte dei Conti) - si introduce allora qui il tema delle posizioni di garanzie, quali forme di garanzia dell’adempimento dei doveri di responsabilità (cfr. anche art. 40 comma 2 c.p.), su cui si tornerà a breve -. Appare d’uopo osservare, per quanto detto, come anche le regole economiche rispondano in primo luogo al tema della responsabilità, essendo infatti previste dure sanzioni (art. 2392 c.c., art. 2409 c.c., art. 141 comma 1 lett. c) d.lgs. n. 267/2000, art. 148 comma 4 d.lgs. 267/2000), in caso di inadempimento a tale dovere etico e giuridico al tempo stesso, oltre che di vero e propria obbligazione (Bianca, La responsabilità). La tematica della spendita di denaro pubblico, in definitiva il denaro versato dai cittadini, prevalentemente tramite le imposte, si riconnette, in chiave di responsabilità del potere di sua spesa e gestione, al tema non solo dei debiti fuori bilancio, ma altresì a quello dell’equità intergenerazionale, principio di natura sovranazionale richiamato anche negli allegati al d.lgs. 118/2011, che si traduce in una forma di giustizia equitativa e sociale volta a garantire alle future generazioni dei servizi e un ambiente, inteso come ecosistema ma non solo, pari o migliore a quello che abbiamo trovato noi (il tema peraltro presenta a sua volte inferenze col principio europeo “chi inquina paga”, a sua volta espressione di responsabilità, cfr. per ulteriori spunti di riflessione Ad. Plen. n. 3/2021). Certamente, però, il terreno per così dire privilegiato della responsabilità in senso tecnico quale formante obbligatorio e norma primaria di comportamento, è quello giuridico, con particolare inferenza, ancora una volta, all’etica e a quei doveri morali e sociali a fondamento dell’obbligazione naturale (art. 2034 c.c.), ma, tutto sommato e in definitiva, anche dell’obbligazione civile, secondo una concezione estensiva dell’obbligazione, nel suo significato di vincolo sì giuridico ma giuridico in senso lato e non in senso stretto – in tal senso allora il dovere morale, inteso quale forma etica sul piano individuale ed interno, e il dovere sociale, quale forma etica sul piano collettivo ed esterno, finirebbero per colorare di significato l’intera categoria funzionale dell’obbligazione (cfr. peraltro il complesso tema, correlato, della coercibilità dell’obbligazione naturale) -. In tal senso, l’etica diventa diritto, e viceversa, e la responsabilità, intesa come rapporto relazionale tra il singolo e gli altri consociati e, prima ancora, tra il singolo e l’intero ordinamento (concezione pubblicistica dell’obbligazione), si traduce come autoresponsabilità, ossia come relazione obbligatoria del singolo con se stesso, nozione evocante quella kantiana di legge morale che ha messo in un certo senso in crisi il dogma stesso della dualità dell’obbligazione. L’autoresponsabilità, allora, trova sì fondamento, come si è detto tradizionalmente, nel precetto di cui all’art. 1227 c.c. (da leggersi in combinato disposto con gli artt. 1176 c.c. e 1218 c.c.), ma evoca altresì un precetto ben più ampio, lo stesso accennato nella categoria dei concetti giuridici indeterminati e più ancora in norme dal pregnante contenuto etico, come quelle di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, espressioni di altrettanti principi su cui si è spesa illustre letteratura giuridica. La Costituzione reca peraltro indubbie norme fonti di responsabilità e di posizioni di garanzia, come l’art. 28, in tema di responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, l’art. 81 comma 2, sul carattere eccezionale e comunque tassativo del ricorso all’indebitamento, e gli artt. 97 comma 1 e 98 comma 1, con specifico riferimento alla pubblica amministrazione. La responsabilità si presenta allora quale principio trasversale ai singoli rami dell’ordinamento giuridico, e come tale non “spacchettabile”, né considerabile in modo frammentario e settoriale. Così, nel diritto amministrativo essa richiama il tema, primariamente, della responsabilità della pubblica amministrazione, sulla cui natura, se contrattuale o extracontrattuale, da tempo si discute. Nel diritto tributario la primaria norma di responsabilizzazione dei contribuenti si rintraccia agevolmente nell’art. 53 comma 1 Cost., secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, cui fanno da contraltare le norme antielusive (art. 10 bis l. 212/2000, art 37 bis dpr 600/1973) e le disposizioni di carattere penale (d.lgs. n. 74/2000). Nel diritto penale, poi, la responsabilità trova la propria consacrazione nella sua forma più alta, risolvendosi il giudizio penale in una forma di responsabilità tra il singolo e l’intero ordinamento, ove l’imputato è chiamato a dare conto delle proprie azioni avanti a un giudice, che, in forma monocratica o collegiale, è espressione della comunità (ossia dello Stato – comunità) lesa dalla condotta antigiuridica e offensiva. Ecco allora l’inferenza con la tematica delle posizioni di garanzia e con quella del bene giuridico. L’art. 40 comma 2 c.p., infatti, non solo fonda, come si è tradizionalmente rilevato, la categoria funzionale delle posizioni di garanzia, ossia di quelle norme, scritte o non, che attribuiscono una posizione di tutore della legalità, non solo astratta ma anche concreta, a determinate persone. La predetta disposizione, infatti, rappresenta il fondamento causale della teoria del bene giuridico, da più voci, in dottrina e in giurisprudenza, contestata, perché, si è detto, deriverebbe da un ordinamento, quello tedesco, distinto dal nostro, e poi stante il suo carattere indefinito, difficilmente compatibile con il principio di legalità ex art. 25 Cost. A tali obiezioni è infatti possibile agevolmente replicare facendo constare come il precetto, non solo strettamente giuridico ma anche etico, di cui all’art. 40 comma 2 c.p., faccia intravedere un mondo di valori e di principi, un universo metafisico parallelo ed ulteriore a quello delle disposizioni di legge, insomma, che non può essere trascurato e dato tamquam non esset. Questo universo metafisico è allora governato in primo luogo dai principi di Bene, Giustizia, Equità e Protezione, come già ben accennato nella filosofia di Platone. La responsabilità allora si traduce in fonte di protezione e di tutele e, in una visione circolare, rappresenta l’alfa e l’omega dell’ordinamento. La responsabilità, come detto all’inizio, deve essere fonte allora di scelte effettive, efficaci e concrete, nonché rispondenti a una reale sostanza non trincerabile dietro la mera forma. Tale aspetto merita approfondimento. Infatti, tanto nella realtà amministrativa quanto etica, politica ed economica, oltre che sul piano della simulazione giuridica e dell’elusione, ricorrono comportamenti a vario titolo truffaldini e comunque contrari a giustizia, che si caratterizzano per una parvenza di legalità, che tale è però solo da un punto di vista meramente formale, risultando invece le predette condotte prive di reale sostanza meritevole di tutela. I riferimenti sono alle categorie dell’interposizione fittizia di persona, alla simulazione soggettiva ed oggettiva, all’elusione fiscale, ma anche alle false attestazioni in bilancio, alla configurazione come voce di bilancio di un quid che invece ricadrebbe sotto altra voce, alle varie forme fenomenologiche della corruzione, della truffa e della frode in pubbliche forniture, oltre che della frode in commercio (art. 515 c.p.) e del reato di cui all’art. 642 c.p. (fraudolento danneggiamento di beni assicurati e mutilazione della propria persona). I frequenti fatti di cronaca, nazionali e internazionali, che danno conto delle continue violazioni della responsabilità e dell’autoresponsabilità, intese quali precetti etici e non solo giuridici, sia in via frontale che con meccanismi simulatori e fraudolenti più articolati, devono far riflettere. Se il concetto di responsabilità si riconnette, sul piano teologico e filosofico, a quello di bene, la corruzione, la simulazione e la frode si riconnettono a quello di male, male inteso non solo, nell’accezione comune, come l’uccisione o il ferimento di una persona, ma anche, nell’accezione biblica e fatta propria dalla teologia cristiana, come lesione diretta o indiretta della sfera altrui, anche in termini di mero approfittarsi dell’altro. Ecco allora che il romanistico e universale principio del “neminem laedere” si colora di significati ulteriori, fino a ricomprendere forme di lesioni non direttamente percettibili e che pure feriscono e sono dimostrazioni, sebbene in senso lato, di malvagità. Sotto tale profilo, allora, la lesione, sul piano penale, del bene giuridico, presenta sempre una duplice dimensione, individuale e collettiva, poiché accanto alla singola persona uccisa, truffata, depredata, ingannata o vittima di corruzione, vi è la lesione del legame di fiducia con lo Stato, quale comunità di consociati vincolati a reciproche forme di tutela e responsabilità. In tal senso, anche sul piano economico e amministrativo, atteggiamenti irresponsabili come il fare politica economica a debito oltrepassando la ragionevolezza del limite, imposto da norme di bilancio nazionali e sovranazionali e non solo, oppure l’affidare direttamente un appalto senza motivazione rafforzata, giovandosi delle norme del nuovo codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) che maggiormente concedono la forma dell’affidamento diretto rispetto al precedente d.lgs. n. 50/2016, devono essere censurati duramente e risolutamente. Il fatto poi che la violazione della norma di responsabilità sembri diventare un fenomeno su scala europea (il caso Qatargate e il caso che ha interessato la Germania, con l’accusa per il cancelliere Scholz di aver esposto dati non veritieri sui conti pubblici tedeschi) e internazionale (le inchieste che hanno riguardato i due candidati alla Casa Bianca, Trump e Biden) deve certamente destare l’opinione pubblica e del mondo intellettuale, per attivare un doveroso ripristino dell’Etica e della Politica con la “E” e la “P” maiuscole. In definitiva, la responsabilità, principio di verità dal multiforme aspetto, al pari di Iride dalle multiformi facce (Platone) funge da regola guida delle condotte umane, prescrizione sulla conformazione di queste al giusto e all’equo e fonte di tutela e, al tempo stesso, sanzione in caso di sua violazione, in caso, per dirla con Busnelli, di inadempimento dell’obbligazione primaria e fondamentale tra i membri dello Stato.
Gustavo Cioppa
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