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Dall’identità reale al domicilio digitale, cresce il divario tra nativi e tardivi digitali

editoriale di Laura Bajardelli

manager

membro del Comitato scientifico


Oggi ci sono molte opportunità di informarsi, comunicare e accedere a servizi attraverso strumenti digitali, ma spesso queste opportunità non vengono colte.


A quanti è capitato di fare a gara con amici e parenti a chi ha più “like” sui social network, a chi ha attivato la patente o la Carta di Identità Elettronica (CIE) o lo SPID, la PEC o la firma elettronica digitale? A chi utilizza sistemi di acquisto e vendita di beni e servizi online? E chi si è già registrato all’INAD - Indice Nazionale dei Domicili Digitali www.domiciliodigitale.gov.it, che ha preso il via il 6 luglio scorso? E quanti reagiscono stizziti o sconsolati, esprimendo persino con l’alterigia una netta preferenza per il libro in formato cartaceo, per recarsi di persona a prenotare una visita, fare una raccomandata o acquistare il pranzo o incontrare amici e parenti davanti a una fetta di torta?

Alterigia che tipicamente nasconde una fragilità, la consapevolezza dell’esclusione e della resistenza al cambiamento e all’adeguamento.

La pandemia ha infatti enfatizzato e reso evidente la pervasività della tecnologia e l’importanza di conoscerla e saperla utilizzare. Non è un caso che il significato di alfabetizzazione si sia evoluto nel tempo parallelamente allo sviluppo delle nostre società: dalle abilità cognitive di base, ossia scrittura e lettura, integrate eventualmente dalle abilità essenziali aritmetiche, oggi l’istruzione deve contenere tutte quelle competenze essenziali e quei saperi che consentono di vivere in modo pieno e realizzato. Ne fanno parte, ad esempio, la competenza digitale e le life skill, le abilità per la vita attiva, il lavoro, la partecipazione e la socializzazione, che richiedono un apprendimento e un’applicazione sostenuti nel tempo per raggiungere livelli avanzati.

L’Unione Europea le definisce competenze digitali di base, ed è importante notare che tra queste c’è anche lo spirito critico nell’uso delle tecnologie. A che punto è l’Italia? Secondo il rapporto “Digital Economy and Society Index” (DESI) della Commissione europea, tra il 2017 e il 2022 l’Italia ha registrato il maggior progresso tra i 27 Stati membri dell’UE ma ben 26 milioni di italiani non ha le competenze digitali di base. Si tratta del 54% della popolazione tra i 16 e i 74 anni, rispetto al 46% della media Ue. Inoltre, solo il 43,1% delle donne possiede competenze digitali di base, rispetto al dato Ue del 52,3%. Si riscontra anche un ritardo nella crescita del numero di laureati in informatica ICT (Information and Communication Technologies) e nell’offerta di servizi pubblici digitali per i cittadini.

Ecco per converso il concetto di analfabeta funzionale (e, nell’attuale società dell’informazione, anche analfabeta funzionale digitale), ossia persone istruite che sanno leggere e scrivere ma non sanno comprendere e interpretare la realtà che li circonda e le informazioni a cui sono esposti, non riescono a compilare una domanda di lavoro o a interagire con strumenti e tecnologie digitali e comunicative per raggiungere i propri obiettivi e lo sviluppo della propria comunità.

Con la pandemia si è tornati a parlare di digital divide o divario digitale, rendendo evidente come la difficoltà di accesso alle tecnologie informatiche abbia una causa culturale ed economico, e soprattutto amplifica il divario culturale ed economico nel momento in cui, per esempio, non si riesca a partecipare attivamente alla vita scolastica in caso di didattica a distanza.

“Istruzione di qualità equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti” è uno degli obiettivi, il 4°, dell’Agenda 2030 ed è un fattore abilitante anche per il raggiungimento degli altri obiettivi. Numerose ricerche hanno dimostrato e quantificato la correlazione tra analfabetismo funzionale, produttività, errori ed incidenti, e propensione agli studi scientifici e sviluppo economico, a livello di singoli individui – ossia lo stipendio- ma anche aggregato – il fatturato delle aziende e il PIL di un intero Paese: secondo il recente studio sulle competenze digitali globali elaborato da Gallup e Amazon Web Services (AWS), i lavoratori italiani con competenza digitali medio-avanzate, hanno stipendi più alti (quasi 11mila euro annui in più), le aziende che impiegano questo tipo di lavoratori e che investono di più in tecnologia, registrano una maggiore crescita del fatturato (oltre il 10% annuo) e quindi anche il PIL italiano è aumentato di circa 45 miliardi di euro.

Per accompagnare l’Italia verso la transizione digitale, nel 2021 è nato il Fondo per la Repubblica Digitale, una partnership tra pubblico e privato sociale con l’obiettivo di sostenere progetti rivolti alla formazione e all’inclusione digitale, per accrescere le competenze digitali e sviluppare la transizione digitale dell’Italia, strumento di sviluppo economico e miglioramento del benessere economico e sociale.

Aldilà dei freddi numeri e delle classifiche, ricordando l’adagio che nella vita non si smette mai di imparare, è necessario investire nella formazione e nell’auto-formazione, dando sfogo alla curiosità di voler sapere di più a tutte le età. Iniziando magari attivando una casella di posta elettronica certificata (costa sui 10euro all’anno), lo SPID o la Carta di Identità elettronica e poi per concludere in bellezza attiviamo anche il domicilio fiscale digitale (novelle pagine bianche dematerializzate), così anche se arriva una multa ci evitiamo la fila allo sportello. Anche per i tardivi digitali c’è speranza!

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