editoriale di Marco Pompilio
urbanista
membro del Comitato scientifico
Sono passati 10 anni dall’approvazione della Legge 56/2014, nota anche come Legge Delrio, che aveva come obiettivo la riorganizzazione completa del livello intermedio di governo, incluse la cancellazione delle province e l’istituzione delle città metropolitane. Le province non sono tuttavia state cancellate a causa della bocciatura nel dicembre 2016 del referendum costituzionale voluto dall’allora Primo Ministro Renzi. Le città metropolitane sono invece diventate operative ad inizio 2015 andando a sostituire le preesistenti province.
Entrambe le istituzioni, province e città metropolitane, sono state da questa legge e dai successivi decreti attuativi drasticamente depotenziate tagliando le risorse in entrata e il personale. Il peso degli organi politici è stato indebolito introducendo l’elezione indiretta (consiglieri e presidenti non sono più scelti dai cittadini ma dagli amministratori dei comuni). Inoltre, nel caso specifico delle città metropolitane è stato assegnato ope legis l’incarico di Sindaco metropolitano al Sindaco del Comune capoluogo. La Corte Costituzionale nel dicembre 2021 ha invitato a correggere la norma, che crea di fatto una disparità tra cittadini del capoluogo e degli altri comuni, questi ultimi esclusi dalla scelta del Sindaco metropolitano.
In questo decennio i danni della Legge Delrio sono emersi con evidenza, nel governo e nella gestione del territorio, nella manutenzione della rete stradale e delle scuole superiori, nei servizi sociali, e altro. Tuttavia la politica non è ancora intervenuta per approvare un intervento correttivo, neppure sul tema sollevato dalla Corte. Nel 2023 sembrava che qualcosa si stesse muovendo, ma poi è scomparso dall’agenda politica e tutto si è fermato.
Dopo che in questo decennio sono stati scritti tanti documentati articoli per denunciare la situazione, su riviste di settore e testate giornalistiche, ha senso parlare ancora di provincia, città metropolitana e dei temi sovracomunali, o area vasta, dei quali questi enti si dovrebbero occupare?
Personalmente penso che non si possa fare a meno di continuare a tenere desta l’attenzione, perché nel frattempo i territori non stanno fermi, si evolvono, talvolta involvono, e i problemi dell’area vasta peggiorano se non vi sono istituzioni che siano in grado di occuparsene in modo adeguato.
Parlando di sovracomunale, o di area vasta, ci si riferisce, come noto, a fenomeni e problemi che si estendono ben oltre i confini amministrativi comunali e che non possono quindi essere risolti, e neppure affrontati, con gli strumenti e le risorse dei singoli comuni. Tra i temi sovracomunali, o di area vasta, rientrano gran parte di quelli ambientali (inquinamento aria e acque, esondazioni e fenomeni meteorologici estremi, impermeabilizzazione dei suoli, ecc.), la programmazione e gestione delle infrastrutture e dei trasporti (soprattutto in un contesto metropolitano), e in area metropolitana rientra anche il pesante squilibrio tra capoluogo e comuni periferici nell’offerta di servizi ai cittadini. Sono solo alcuni di un elenco che sarebbe molto più lungo (1).
Le norme nazionali assegnano in modo chiaro agli enti intermedi la competenza sui temi sovracomunali. Le province e le città metropolitane governano il territorio anche attraverso i loro strumenti di pianificazione territoriale generale, che in Lombardia sono il Piano territoriale di coordinamento per le province (PTCP) e il Piano territoriale metropolitano (PTM) per la città metropolitana. Non sono strumenti deboli, come molti affermano. Le norme nazionali li hanno dotati di concreti poteri per coordinare i piani comunali, i quali hanno l’obbligo di adeguarsi agli indirizzi e alle prescrizioni di PTCP e PTM. Ovviamente per esercitare la funzione di coordinamento deve essere presente la volontà di applicare tali poteri da parte degli organi politici e delle strutture tecniche degli enti. Dove la volontà è stata esercitata si sono ottenuti importanti miglioramenti nel coordinare tra loro i piani dei diversi comuni e in generale nel governo del territorio. Sono molti gli esempi di province che a cavallo tra anni Novanta e primo decennio del nuovo millennio hanno approvato e attuato piani innovativi. Certo negli ultimi dieci anni con il cambiamento di natura degli organi provinciali la possibilità, e di conseguenza anche la volontà, di esercitare un’effettiva azione di coordinamento si è quasi ovunque inceppata, fatte salve alcune lodevoli e rare eccezioni.
PTCP e PTM hanno poteri sui temi di rilevanza sovracomunale, e le norme contengono meccanismi per evitare che gli enti intermedi provino ad estendere tali poteri anche ai temi locali.
Se le competenze assegnate dalle norme a PTCP e PTM sono chiare, più complesso è distinguere nella realtà applicativa tra temi sovracomunali e temi locali, questi ultimi di competenza dei comuni. Non esiste in alcuni casi un confine definito tra temi sovracomunali e locali, che si presentano a volte tra loro intrecciati in modo inestricabile, e richiedono quindi per essere governati una stretta e paritaria cooperazione tra il livello provinciale (o metropolitano) e quello comunale.
Le norme nazionali, coerentemente con l’assetto attuale della nostra Costituzione, assegnano alla pianificazione urbanistica comunale importanti competenze, come per esempio la conformazione dei suoli, ossia la definizione, con valore giuridico, delle modalità di utilizzo dei suoli, che incide come si può intuire su molti aspetti sovracomunali, dall’ambiente ai trasporti, all’economia e al sociale. L’autorizzazione nei piani comunali di grandi impianti di logistica comporta l’incremento dei mezzi pesanti circolanti e delle emissioni in atmosfera. Prevedere nei piani insediamenti residenziali diffusi a bassa densità aumenta il consumo di suolo e mette in crisi il trasporto pubblico favorendo l’uso del mezzo privato. Sono solo esempi, anche qui l’elenco può essere molto lungo.
La pianificazione provinciale non è gerarchicamente sovraordinata a quella comunale, fatta eccezione per alcuni circoscritti aspetti. Per attuare le proprie competenze di coordinamento la provincia deve coinvolgere i comuni fin dalla fase di formazione del PTCP, per definirne congiuntamente i contenuti e le modalità di attuazione.
La Giurisprudenza si è occupata negli ultimi 15 anni in più sentenze di delineare limiti, criteri e modalità di cooperazione tra i due livelli di pianificazione provinciale e comunale (2). Ha ribadito l’obbligo della pianificazione comunale di contribuire attivamente all’attuazione degli obiettivi sui temi sovracomunali definiti dal PTCP, come peraltro affermano da anni le norme nazionali (dalla ex Legge 142/1990 confluita nel D.lgs 267/2000, il TUEL o Testo Unico degli Enti Locali). Ha chiarito che l’obbligo riguarda non solo gli aspetti prescrittivi contenuti nei PTCP ma anche tutte le disposizioni di indirizzo. Allo stesso tempo i comuni hanno il diritto di essere coinvolti nella definizione dei contenuti sovracomunali già nella fase di formazione del PTCP (3).
Ha inoltre ribadito che il Piano urbanistico comunale si interessa dei bisogni della comunità locale e ha potere conformativo su tutto il territorio compreso entro i confini amministrativi del comune, non solo sulla parte urbanizzata. Tuttavia al di fuori del perimetro dei centri abitati tale potere deve essere contemperato con altri diritti, anche essi costituzionalmente garantiti, che riguardano i bisogni della comunità di area vasta, su aspetti come, ad esempio, quelli ambientali e paesaggistici, e molti altri.
Queste indicazioni della Giurisprudenza non escludono che il PTCP in alcuni casi possa definire indirizzi di coordinamento che riguardano anche l’interno del perimetro urbano, qualora vi siano aspetti che possono incidere su temi sovracomunali. Per esempio se dentro l’area urbana il piano comunale prevede la trasformazione in residenziale a parità di volume degli impianti industriali dismessi, la pressione generata dai nuovi abitanti su traffico, servizi, consumi energetici ed emissioni inquinanti in atmosfera potrebbe avere effetti che si estendono molto oltre i confini comunali.
Le norme, nazionali e regionali, forniscono ai comuni gli strumenti per tutelarsi da eventuali indebite ingerenze delle province nelle competenze comunali. Il PTCP ha una funzione di coordinamento dei piani comunali, ma non può sostituirli scendendo nel dettaglio della scala urbanistica comunale. Se lo fa i comuni utilizzeranno gli strumenti a propria disposizione per fermare il piano prima che venga approvato, o anche solo adottato.
Questo è il contesto normativo che chi sviluppa un piano provinciale deve tenere in considerazione. I comuni sono al centro della storia di questo Paese, fin dal tardo Medioevo, sono la prima istituzione di riferimento, e di fiducia, per i cittadini, e la Costituzione riflette questa storia, in modo ancora più evidente dopo la Riforma costituzionale del 2001.
Alcuni preferirebbero invece un PTCP più gerarchico, vincolistico e prescrittivo, ritenendo poco efficace procedere per coordinamento e cooperazione, e propongono di modificare in tale senso le norme e anche la Costituzione. Personalmente credo che una pianificazione calata dall’alto sia anacronistica, appartiene a epoche ormai passate dove peraltro i risultati mostrati sono stati deludenti. In ogni caso cambiamenti normativi di portata Costituzionale richiedono percorsi e tempi lunghissimi. Realisticamente, quando si decide di sviluppare un nuovo piano si deve operare con le norme che si hanno in quel momento a disposizione.
Il primo PTCP di Milano, approvato nel 2003 dall’allora Consiglio Provinciale, e poi aggiornato nel 2013, ha richiesto un lungo e paziente preliminare lavoro di coinvolgimento dei comuni nella definizione dei contenuti. Questa cooperazione ha permesso di creare le condizioni per approvare il piano definendo indirizzi condivisi con i comuni su alcuni tra i temi sovracomunali più importanti e più urgenti inerenti le infrastrutture, il trasporto pubblico, l’ambiente e il paesaggio. Indirizzi che negli anni successivi sono stati in buona parte attuati dagli uffici della Provincia che hanno gestito il piano.
La Sentenza del Consiglio di Stato già citata ha successivamente nel 2016 confermato la correttezza dell’impostazione del PTCP di Milano (2). Il PTCP ha funzionato fino a quando non è arrivata la Legge Delrio che ha creato la Città metropolitana, ma la ha privata di risorse e strumenti operativi.
Negli anni Novanta era stata sviluppata una proposta di pianificazione territoriale che su alcuni temi scendeva nel dettaglio di scala locale con l’intenzione di sovrapporsi e, almeno in parte, sostituire alla pianificazione urbanistica comunale, anche all’interno del perimetro urbanizzato. I comuni si sono opposti, percependo la proposta di piano come un’ingerenza impropria, e facendo pressione sui Consiglieri provinciali, sia di maggioranza che di minoranza, hanno determinato la mancata adozione formale del piano. Non sono quindi scattate le salvaguardie del PTCP nei confronti della pianificazione comunale e dei privati, ossia la proposta di piano è stata svuotata di ogni valore giuridico.
Nel 2015 la Provincia viene trasformata in Città metropolitana e il PTCP deve essere rivisto e aggiornato come PTM, il piano territoriale che è previsto dalla Legge 56/2014 e dalla conseguente norma regionale LR 32/2015. Secondo le norme nazionale e regionale i PTM conservano la funzione di coordinamento sui temi sovracomunali propria della pianificazione provinciale e possono inoltre essere integrati con una parte prescrittiva sui temi di rilevanza metropolitana. Valgono quindi tutti i discorsi fatti nelle pagine che precedono per la pianificazione territoriale delle province, ma per alcuni temi, individuati motivatamente nel PTM, si può andare oltre il coordinamento. La norma riconosce che nelle città metropolitane le interazioni tra le diverse parti del territorio sono molto più sviluppate e strettamente intrecciate che nelle province. Per alcuni temi le ricadute sovracomunali delle azioni del singolo comune possono arrivare ad incidere sul funzionamento del sistema metropolitano nel suo complesso. Nell’interesse generale il PTM può dettare su tali temi disposizioni prescrittive, sempre e comunque a patto che siano concordate prima con i comuni.
La coincidenza nella stessa persona delle cariche di Sindaco del capoluogo e di Sindaco metropolitano, che come già detto è stata introdotta dalla Legge 56/2014, poteva in questi anni essere occasione per rafforzare la cooperazione tra pianificazione metropolitana e pianificazione del Capoluogo e anche per ampliare su temi specifici la parte prescrittiva del PTM. Con un po’ di buona volontà e di lungimiranza il Sindaco del Capoluogo e metropolitano avrebbe potuto coinvolgere fattivamente anche gli altri comuni nella definizione delle strategie e delle modalità di attuazione per i temi che maggiormente incidono sul funzionamento del sistema metropolitano.
Niente di tutto questo è ad oggi accaduto. I due Sindaci di Milano eletti in questi dieci anni hanno ignorato la Città metropolitana, considerando una perdita di tempo il dialogo con gli altri comuni, e il PTM, approvato nel 2021, pur dotato di interessanti contenuti e strumenti attuativi, è di fatto stato parcheggiato in un cassetto.
L’occasione non è stata colta e la coincidenza tra le due cariche di Sindaco è anzi stata usata per concentrare le risorse su Milano, per congelare il PTM e tutte le altre iniziative che avrebbero potuto migliorare il funzionamento del sistema metropolitano. Intanto la situazione di squilibrio tra Capoluogo e comuni periferici, nelle risorse disponibili e nei servizi erogati, si va aggravando. Il sollecito della Corte Costituzionale a modificare la Legge 56/2014 per permettere anche ai cittadini degli altri comuni, e non solo a quelli di Milano, di avere voce in capitolo nell’elezione del Sindaco metropolitano, non ha per il momento trovato ascolto e una soluzione concreta appare ancora molto lontana. Cosa fare?
Forse qualcosa si muoverà quando i cittadini residenti nel Capoluogo si renderanno conto che i 133 comuni della Città metropolitana, Capoluogo compreso, condividono lo stesso destino, sono nella stessa barca. Se sul resto del territorio si continua a consumare suolo agricolo aggravando il rischio inondazioni, a costruire impianti di logistica che intasano le strade di traffico e l’aria di inquinanti, giusto per fare due esempi, il Capoluogo ne soffrirà le conseguenze esattamente come gli altri comuni. A quel punto saranno i residenti nel Capoluogo a chiedere al loro Sindaco di occuparsi in modo adeguato della Città metropolitana. All’estero da tempo hanno capito che le grandi aree urbane sono destinate a divenire sempre più fragili, anche economicamente e socialmente e non solo ambientalmente, in mancanza di una chiara e unitaria visione metropolitana.
Per smuovere le acque, per facilitare e accelerare questa presa di coscienza, ci vorrebbe un’ampia e sistematica operazione di comunicazione, per coinvolgere i cittadini del Capoluogo, per fare conoscere loro il territorio metropolitano al quale il Capoluogo è legato in modo inscindibile.
Al momento, nell’attuale situazione di stallo, non vedo altra strada da percorrere. Se qualcuno ha idee migliori si faccia avanti, purché siano concrete.
NOTE
1. Sullo squilibrio di risorse e servizi tra Capoluogo e comuni periferici si vedano gli articoli dello scrivente su Osservatorio Metropolitano di Milano del 13 maggio 2023 https://www.osservatorio.milano.it/post/distopie-metropolitane e del 22 settembre 2023 https://www.osservatorio.milano.it/post/le-distopie-metropolitane-proseguono
2. Si vedano in particolare le sentenze del Consiglio di Stato n.2921 del 28 giugno 2016 sul PGT di Segrate e n.2710 del 10 maggio 2012 sul PRG di Cortina. I contenuti principali della Sentenza del Consiglio di Stato del 28 giugno 2016 relativa al PGT di Segrate e al PTCP della Provincia di Milano sono riassunti negli articoli dello scrivente su Arcipelago Milano del 13 luglio 2016 https://www.arcipelagomilano.org/archives/43670 e del 25 marzo 2015 https://www.arcipelagomilano.org/archives/37286 Sulla sentenza relativa al PRG di Cortina si veda la nota dello scrivente pubblicata sul sito della Fondazione Giandomenico Romagnosi che riassume il percorso della pianificazione territoriale provinciale dagli anni Novanta ad oggi https://www.fondazioneromagnosi.it/sites/default/files/nota_romagnosi_2021-11.pdf
3. L’articolo 14 comma 27 del DL n.78 / 2010 e smi definisce le funzioni fondamentali dei comuni ai sensi dell’art 117 della Costituzione; tra queste al punto d) “la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale”. I comuni hanno dunque competenza urbanistica sui temi di scala locale, e sono inoltre tenuti a partecipare alla pianificazione territoriale sovracomunale. Nel verbo “partecipare” convivono, allo stesso tempo, il dovere dei comuni di contribuire fattivamente al raggiungimento degli obiettivi sovracomunali della pianificazione territoriale, e il diritto di essere coinvolti nella definizione dei contenuti di tali piani territoriali.
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