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Immagine del redattoreMarco Pompilio

Distopie metropolitane

editoriale di Marco Pompilio

urbanista

membro del Comitato scientifico


La Legge 56 del 2014 ha modificato in profondità le province e ha istituito le città metropolitane, assegnando a queste ultime funzioni più ampie e una differente organizzazione degli organi politici.

Il referendum del 4 dicembre 2016 ha cancellato la riforma costituzionale, che tra gli altri temi conteneva l’abolizione della provincia dalla Carta, rendendo la legge in questione in buona parte inadeguata e superata. Da allora per lungo tempo nessuna forza politica si è occupata della questione. Solo negli ultimi mesi le attività per l’aggiornamento della norma sono state avviate, ma è ancora presto per essere certi che una proposta verrà, in tempi ragionevoli, presentata in Parlamento e approvata. Le esperienze precedenti invitano alla prudenza. Così come è presto per sapere quali saranno i contenuti. Al momento si parla molto nei media di ritorno all’elezione diretta degli organi provinciali, ma non è chiaro quali funzioni e ruolo strategico si voglia assegnare al livello di governo intermedio tra regione e comune.

Né tantomeno vi sono notizie sulle città metropolitane nonostante un intervento normativo sia per esse ancora più urgente che per le province. La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 240 del 7 dicembre 2021 ha infatti censurato la coincidenza, prevista dalla Legge 56/2014, della carica di Sindaco metropolitano con quella di Sindaco del comune capoluogo. Verrebbe leso l’articolo 3 della Carta creando una disparità tra i cittadini del capoluogo e quelli degli altri comuni della città metropolitana. I primi infatti dal 2014 quando votano il proprio Sindaco scelgono anche il Sindaco metropolitano, di fatto monopolizzando un diritto che dovrebbe appartenere ai residenti di tutti i comuni. Se una soluzione di questo tipo era ammissibile in via temporanea per guidare la fase di transizione verso l’istituzione delle città metropolitane, come affermato dalla Sentenza, a distanza di tanti anni non è più rinviabile l’aggiornamento della norma per correggere questa distopia, e gli squilibri istituzionali e territoriali che ne conseguono.

Nella Città metropolitana di Milano i privilegi che tale norma assicura al capoluogo hanno oltre ogni limite alterato gli equilibri con il resto del territorio, finendo per danneggiare il funzionamento del sistema metropolitano e il suo ruolo a livello nazionale e internazionale.

La norma aggrava, rischia di rendere strutturale e forse irreversibile, un problema che in realtà era già da prima del 2014 manifesto, una questione di sperequazione, o carenza di equità, tra i 133 comuni che compongono la Città metropolitana milanese, la risoluzione della quale è imprescindibile se si vuole che il sistema metropolitano torni a funzionare in modo appropriato. Non riguarda solo la disparità di diritti elettorali, che comunque è già di per sé un fatto grave e urgente da affrontare. I comuni periferici, distanti dal capoluogo, dispongono di meno risorse, e i loro cittadini di meno opportunità rispetto a chi vive a Milano, e di un’offerta di servizi più limitata, per possibilità di scelta e talvolta anche per qualità. Se ha un senso che i servizi di rilevanza metropolitana abbiano sede nel capoluogo e comuni di cintura (università, polo fieristico, principali musei e teatri, ecc.), i servizi sovracomunali (scuole superiori, ospedali e servizi per la salute, ecc.) dovrebbero essere collocati nei poli urbani più prossimi agli utenti, in una logica organizzativa più policentrica. Invece tutto viene incentrato su Milano, con evidenti conseguenze in termini di carico sulla mobilità e congestione del centro dell’area metropolitana.

La disparità nell’offerta dei servizi è direttamente collegata con la scarsa disponibilità di risorse nei comuni periferici. A Milano, in una situazione di mercato immobiliare comunque attivo e prospero, molte aree dismesse sono state o sono in fase di recupero e riuso, mentre negli altri comuni tali opportunità mancano o sono molto scarse.

Minori opportunità immobiliari significa anche carenza di entrate di bilancio (derivanti da oneri di urbanizzazione, contributi di costruzione, imposte sulla proprietà). Con scarse risorse a disposizione i comuni periferici si trovano nell’impossibilità di migliorare i servizi offerti e di mettere in campo azioni per contrastare il progressivo abbandono e degrado dei centri storici, soprattutto dove gli esercizi di vicinato hanno chiuso non riuscendo a organizzarsi per contrastare l’offerta concorrente dei centri commerciali.

Il progressivo degrado del territorio è accentuato dalla rapida diffusione di insediamenti logistici. Molte aree dismesse nei comuni sono prossime ai centri urbani e non sono adatte per questo tipo di insediamenti, che finiscono, anche forzando le previsioni degli strumenti urbanistici, per collocarsi nel tessuto agricolo, con ulteriore consumo di suolo, congestione sul traffico locale, inquinamento atmosferico e degrado paesaggistico.

La mancanza di politiche di area vasta per trattenere o attrarre sul territorio le attività industriali fa sì che le aree dismesse rimangano vuote e, in mancanza di alternative, i comuni periferici siano costretti, per fare quadrare i magri bilanci, ad accettare l’insediamento di impianti di logistica, che tuttavia a fronte dei gravi impatti sopra elencati inducono uno scarso valore aggiunto in termini di occupazione e portano anzi verso il rapido impoverimento del patrimonio di competenze tecniche professionali manifatturiere di cui un tempo erano ricchi questi territori.

In un sistema metropolitano l’inviluppo di relazioni tra le diverse parti è esponenzialmente più complesso che nei territori provinciali, i destini delle diverse componenti sono tra loro strettamente intrecciati, e le sofferenze di una parte del territorio finiscono per ricadere sul complesso del sistema, capoluogo incluso. L’aria inquinata dall’incremento di traffico pesante nei comuni periferici viene respirata anche a Milano. E’ solo un esempio per dire che ne soffre tutto il sistema metropolitano, la sua qualità abitativa e il ruolo a livello nazionale e internazionale. Capoluogo, comuni di cintura e comuni periferici sono tutti sulla stessa barca, ne orientano la direzione e ne condividono il destino.

Non è solo una questione di solidarietà, si deve fare in modo che i servizi a disposizione di cittadini e imprese siano equamente distribuiti in tutti i comuni se si vuole che il sistema metropolitano funzioni meglio e diventi un luogo più vivibile per i suoi abitanti e più attrattivo per le imprese.

Oggi i cittadini degli altri comuni sono fortemente penalizzati, eppure sono determinanti anche per il successo del capoluogo. Ogni giorno entrano nel comune capoluogo circa 400.000 pendolari per motivi di lavoro (dato ISTAT al 2011). Gran parte delle attività produttive e terziarie del capoluogo si fermerebbero in assenza dell’apporto di competenze professionali di questi pendolari. Eppure i loro diritti, le loro speranze, sembrano contare meno di quelli di chi vive nel capoluogo. Milano accentra la quasi totalità delle risorse, si impossessa del valore aggiunto creato dai pendolari che lavorano in città, e oggi a causa di una legge iniqua elegge da solo il Sindaco metropolitano, svuotando di senso l’istituzione metropolitana che dovrebbe rappresentare e curare gli interessi dei comuni tutti.

La mancanza di risorse economiche non costituisce l’unico problema per i comuni periferici ma è sicuramente tra quelli che vanno affrontati con più urgenza. Il Piano Territoriale Metropolitano (PTM) approvato dalla Città metropolitana a maggio 2021 introduce una modalità per perequare le risorse tra i comuni dell’area centrale (costituita da capoluogo e comuni di prima cintura) e i comuni periferici. Si basa su una norma regionale del 2020 che prevede per i comuni la possibilità di accordarsi al fine di istituire fondi economici condivisi per la realizzazione di interventi di interesse per più territori comunali. La norma attribuisce al PTM il compito di gestire questi fondi per coordinare l’azione dei comuni nella realizzazione di interventi di rilevanza sovracomunale.

Per compensare il plusvalore generato nel capoluogo e nei comuni di prima cintura dalle opportunità immobiliari e dalla presenza della quasi totalità dei servizi di rilevanza metropolitana, il PTM stabilisce che una parte dei contributi di costruzione di questi comuni venga reindirizzata e dedicata alla realizzazione di interventi nei comuni più periferici, per rilanciare i territori più sofferenti. Si tratta di progetti ambientali, infrastrutturali e servizi, che difficilmente i comuni da soli riuscirebbero a mettere in campo.

Il PTM indica un primo elenco di priorità, che riguardano, a titolo esemplificativo: il potenziamento delle stazioni di interscambio delle linee suburbane S con parcheggi e altre funzioni di servizio, il sostegno per il recupero di aree dismesse e degradate che non hanno prospettive di mercato, l’organizzazione policentrica dei servizi sovracomunali per i cittadini e per le imprese, gli interventi per laminare le piene e contenere gli effetti dei fenomeni climatici estremi, il potenziamento della rete verde di collegamento tra i parchi con forestazioni e percorsi ciclopedonali. A questi indirizzi si affianca un sistema articolato di criteri per la localizzazione dei grandi insediamenti produttivi, logistici e commerciali, di regole per tutelare e rafforzare quanto ancora rimane di valori paesaggistici, e di indirizzi per i comuni al fine di affrontare i cambiamenti climatici

Il PTM contiene dunque molti strumenti utili per creare condizioni di maggiore equilibrio tra centro e periferia, ma purtroppo la sua attuazione non è ancora stata avviata, nonostante siano passati due anni dalla sua approvazione e quasi tre dalla sua prima adozione in Consiglio metropolitano. In sede di approvazione è stata introdotta una disposizione che rinvia l’attivazione degli strumenti più utili del piano alla redazione di documenti attuativi (denominati “Strategie tematico territoriali metropolitane”), che saranno approvati con decreti del Sindaco metropolitano, quindi marginalizzando il Consiglio metropolitano su argomenti che riguardano le scelte territoriali. Ad oggi di questi documenti attuativi non si sa ancora nulla.

Ritorna alla mente la questione sollevata dalla Corte costituzionale a fine 2021. La coincidenza della carica di Sindaco metropolitano e Sindaco del comune capoluogo porta a concentrare tutti i poteri e tutte le risorse sul capoluogo. Per risolvere un problema di assetto istituzionale è necessaria una norma correttiva. Tuttavia nel frattempo un’amministrazione lungimirante, o appena assennata, dovrebbe darsi da fare per correggerne il più possibile nell’applicazione operativa gli effetti distorti. Tanto più che l’elezione diretta del Sindaco e dei Consiglieri è già prevista dallo Statuto stesso della Città metropolitana di Milano approvato a dicembre 2014, e che il PTM approvato nel 2021 contiene strumenti tecnici per andare verso un assetto più equo del territorio metropolitano. Tanto più che i danni a una parte del sistema ricadono sul territorio metropolitano tutto, capoluogo compreso. Sembra invece prevalere un opportunismo che ritiene di essere furbo, cinico, ma in realtà è miope e autolesionista.

Prima o poi saranno i Milanesi stessi che se ne renderanno conto e pretenderanno che il loro Sindaco si occupi delle questioni metropolitane con la dovuta attenzione. Intanto il tempo passa, il sistema metropolitano milanese funziona male, con tutte le conseguenze in queste pagine accennate. Bisogna fare qualcosa per abbreviare questi tempi. Se i politici si ostinano a non ascoltare, ogni sforzo dovrebbe essere teso a informare e sensibilizzare i cittadini di Milano sulle questioni metropolitane, e sulle ricadute per il capoluogo stesso, sperando che siano loro a farsi sentire dal loro Sindaco, e a smuoverlo.


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