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La distopia metropolitana in cifre

editoriale di Marco Pompilio

urbanista

membro del Comitato scientifico


Negli articoli pubblicati il 13 maggio e il 22 settembre 2023 era stato evidenziato il divario crescente, in termini di risorse e servizi disponibili, tra Comune capoluogo e Comuni periferici nel territorio della Città metropolitana milanese, uno dei problemi che la Legge 56/2014, la norma che ha profondamente modificato le province e introdotto le città metropolitane, ha contribuito in modo determinante ad accentuare.

Se qualcuno leggendoli ha pensato che si trattasse di discorsi teorici, potrebbe utilmente dare un’occhiata all’edizione 2024 della ricerca del Sole 24 Ore sulla Qualità della Vita nelle province e città metropolitane, illustrata attraverso numerosi articoli nell’edizione del quotidiano del 16 dicembre scorso. In particolare l’articolo firmato da Marta Casadei e Michela Finizio intitolato “Effetto disuguaglianze: le città metropolitane perdono terreno”.

La ricerca è basata su 90 indicatori organizzati in sei gruppi: ricchezza e consumi, affari e lavoro, ambiente e servizi, demografi, società e salute, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Questi sei gruppi sono successivamente pesati per assegnare un valore di qualità della vita e la posizione nella classifica che considera i 107 enti intermedi di governo (province + città metropolitane).

I numeri della ricerca certificano un passo indietro nella classifica, più o meno marcato, di molte città metropolitane. Per fare qualche esempio, Bologna, la prima città metropolitana nell’elenco, scende al 9° posto (nel 2023 era al secondo e nel 2022 al primo, in precedenza altre 4 volte prima nei 35 anni di rilevazione della ricerca); Milano passa dall’ 8° al 12° posto; Firenze dal 6° al 36°; continuando Torino perde 22 posizioni (58° posto); Venezia 14 (46°). Le grandi città del sud occupano le posizioni basse, per esempio Napoli 106° e Reggio Calabria 107°; in controtendenza al sud si registra anche qualche miglioramento, ad esempio Catania sale di 9 posizioni (83°), Bari di 4 (65°).

Questi numeri vanno letti con un po’ di buon senso, non esprimono valori assoluti, ma sono utili per valutare le tendenze nel tempo, e per confrontare le città tra loro (in inglese si dice benchmarking). Bisogna anche tenere conto che, come illustrato nella nota metodologica del Sole 24 Ore, la ricerca evolve aggiungendo ogni anno qualche indicatore per meglio descrivere i fenomeni. Ovviamente la variazione degli indicatori falsa in parte il confronto con gli anni precedenti. Per cui tali numeri non vanno considerati come assoluti. Tuttavia la tendenza emerge chiara.

Come scrivono gli autori dell’articolo “…. le aree metropolitane perdono posizioni sotto il peso della frenata del Pil pro capite – che corre molto più al Sud, rispetto ai grandi poli produttivi del Nord – e del crescente costo della vita”. E ancora “Milano resta prima per il Pil in rapporto alla popolazione, ma se si analizza il trend – pari al 2% contro il 3,9% di Palermo – nel confronto arriva 54a tra le 107 province considerate”.

Insomma il sistema metropolitano milanese, pur occupando un ancora onorevole 12° posto, mostra qualche cedimento nel funzionamento. I numeri della ricerca sono riferiti alla città metropolitana nel suo complesso, con tutti i suoi 133 comuni, non solo al capoluogo Milano. La disparità nei servizi erogati tra centro e periferia probabilmente contribuisce a questa tendenza. In un sistema metropolitano le interazioni tra le diverse parti del territorio, tra i comuni, sono molto più intense e intrecciate che in una provincia. Il malfunzionamento di alcune di queste parti, anche piccole, può avere effetti sul sistema nel suo complesso e sul suo funzionamento. Non basta puntare tutto sul Capoluogo sperando che trascini tutto il resto. Il rischio è al contrario che le debolezze della periferia finiscano per contrastare l’energia del centro, con alla lunga ricadute sul Capoluogo stesso.

Intanto la crescita del costo della vita sta polarizzando i redditi della popolazione, con l’allontanamento di quelli più bassi verso la periferia (gli urbanistica la chiamano “gentrificazione”, italianizzazione del termine anglosassone, che letteralmente potrebbe essere più efficacemente tradotto come “borghesizzazione”). Tra gli indicatori di questa edizione 2024 ve ne è uno che misura la “disuguaglianza tra i contribuenti nell’ultimo quintile di reddito (i più “ricchi”) e quelli del primo quintile (i più “poveri”)”. Citando dall’articolo “…. a Milano il divario tra l’ultimo quintile e il primo è di 18,4 volte …… nel 2008 era di 13 volte”. Seguono Roma con 15,4, Genova e Firenze con 12,9. La media nazionale tra gli enti intermedi (province + città metropolitane) è 10,8. Quelle del sud hanno generalmente valori leggermente inferiori alla media, a parte Bari con 11,0.

Con riferimento alla classifica di province + città metropolitane il valore della Città metropolitana di Milano occupa la 107a posizione, ossia l’ultima. Nelle ultime posizioni si trovano buona parte delle città metropolitane del centro-nord (sono 5 nelle ultime 10 posizioni, Bologna è all’87° posto e Venezia al 67°).

Se si guardano i dati ISTAT sul reddito medio pro-capite, disponibili sul sito internet dell’Istituto https://www.istat.it/wp-content/uploads/2023/02/Allegato-Citt%C3%A0-Metropolitane.pdf , si può avere un’idea di massima di come tendenzialmente i valori dei due quintili estremi (quello dei più ricchi e quello dei più poveri) si distribuiscano nel territorio metropolitano milanese.

 

L’articolo completo di Casadei e Finizio è leggibile al seguente indirizzo sul sito di Il Sole 24 Ore:

La classifica completa per l’indicatore “Disuguaglianza del reddito netto” si trova all’indirizzo:

 

 

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